“Un dolore che non si può raccontare”

Ci sono notizie che non si leggono, si sentono addosso. La morte di Paolo Taormina, ventun anni appena, è una di quelle che ti scavano dentro. Non perché servano parole nuove — le parole davanti a una vita spezzata sono sempre insufficienti — ma perché ti costringono a guardare la verità negli occhi: la verità di una generazione che non riesce più a riconoscersi, e di adulti che troppo spesso hanno smesso di capirla.
La morte di Paolo Taormina, 21 anni appena, è una di quelle che ti scavano dentro
Ci sono notizie che non si leggono, si sentono addosso. La morte di Paolo Taormina, ventun anni appena, è una di quelle che ti scavano dentro. Non perché servano parole nuove — le parole davanti a una vita spezzata sono sempre insufficienti — ma perché ti costringono a guardare la verità negli occhi: la verità di una generazione che non riesce più a riconoscersi, e di adulti che troppo spesso hanno smesso di capirla.
Ci sono occasioni in cui le nostre parole non sono migliori del silenzio. Dovremmo restare zitti. Ogni padre, ogni madre, quando sente una storia così, pensa al proprio figlio. Pensa a quella paura muta che accompagna ogni sera, a quella speranza che il telefono non squilli mai per dire ciò che nessun genitore dovrebbe sentire.
La morte di Paolo Taormina, 21 anni appena, è una di quelle che ti scavano dentro
Ci sono notizie che non si leggono, si sentono addosso. La morte di Paolo Taormina, ventun anni appena, è una di quelle che ti scavano dentro. Non perché servano parole nuove — le parole davanti a una vita spezzata sono sempre insufficienti — ma perché ti costringono a guardare la verità negli occhi: la verità di una generazione che non riesce più a riconoscersi, e di adulti che troppo spesso hanno smesso di capirla.
Ci sono occasioni in cui le nostre parole non sono migliori del silenzio. Dovremmo restare zitti. Ogni padre, ogni madre, quando sente una storia così, pensa al proprio figlio. Pensa a quella paura muta che accompagna ogni sera, a quella speranza che il telefono non squilli mai per dire ciò che nessun genitore dovrebbe sentire.
La nostra è un’epoca in cui i ragazzi cercano la vita, ma la trovano spesso dentro labirinti di rabbia e di vuoto. E noi, che dovremmo tendere loro la mano, siamo rimasti ai margini, smarriti tra mille giustificazioni. Quando la sorte si impadronisce del destino dell’uomo, non usa né pietà né giustizia.
E allora resta a noi, uomini e donne che credono ancora nel valore della vita, scegliere da che parte stare:
se arrenderci alla durezza dei tempi o ritrovare dentro di noi il bisogno di umanità.
Non servono grandi proclami. Serve ricominciare dal principio: dall’ascolto, dal coraggio di fermarsi accanto a chi si perde, dal desiderio di tornare a essere comunità. Perché la politica senza umanità diventa un esercizio sterile, e la società senza umanità diventa un luogo dove i ragazzi si smarriscono senza che nessuno se ne accorga.
Abbiamo bisogno di tornare umani: nella parola, nei gesti, nei silenzi. Non bisogna mai barattare l’umanità, con niente. Bisogna insegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti che è bellissimo lottare per un’idea, ma che è indispensabile, innanzitutto, avere un’idea di sé stessi. E abbiamo il dovere — sì, un dovere civico e morale — di contrastare l’idolatria dei falsi miti che ci propinano continuamente:
l’idea che chi possiede un’arma sia “chic”, potente, rispettato. Questo mito devasta, alimenta paura, divisione, senso di invulnerabilità malsana.
La politica — quella vera — non è solo leggi e bilanci. È chinarsi sul dolore della gente, riconoscerlo e provare a trasformarlo in futuro. A Paolo non possiamo più restituire la vita, ma possiamo restituire ai suoi coetanei la possibilità di credere che la vita abbia un senso. Perché un ragazzo di ventun anni non dovrebbe morire per mano di un altro ragazzo. E noi non dovremmo abituarci mai a tutto questo.
Totò Cuffaro Segretario Nazionale della Democrazia Cristiana
TRATTO DA ARTICOLO DE ILSICILIA.IT
a cura del Coordinamento nazionale ed interregionale della Comunicazione della DC – G.C.