
I sette grandi democristiani: una storia di popolo, Stato e coscienza
La Democrazia Cristiana non fu solo un partito, ma una classe dirigente morale che seppe guidare l’Italia dalla rovina della guerra alla democrazia repubblicana, con uno stile fondato sulla responsabilità, sul dialogo e sul primato della persona. Tra i suoi protagonisti emergono sette figure che, pur diverse per temperamento e visione, condivisero un medesimo orizzonte ideale.
Alcide De Gasperi (1881–1954)
Il fondatore dello Stato repubblicano. Uomo sobrio, europeo, radicato nel cattolicesimo democratico di Sturzo, De Gasperi fu l’artefice della ricostruzione materiale e morale dell’Italia. Guidò il Paese con fermezza democratica, difendendo le libertà costituzionali, collocando l’Italia in Europa e nell’Occidente, ma senza mai dimenticare i poveri, i lavoratori, le autonomie locali. In lui lo Stato non fu mai potere, ma servizio.
Aldo Moro (1916–1978)
Il pensatore della politica come responsabilità morale. Moro portò nella DC la profondità del giurista e del filosofo, concependo la democrazia come processo inclusivo. Fu l’uomo del dialogo, della paziente costruzione, della “politica che non umilia”. Con il centro-sinistra e poi con l’apertura al confronto più ampio, cercò di evitare lacerazioni nel Paese. La sua morte segnò una ferita ancora aperta nella storia repubblicana.
Giulio Andreotti (1919–2013)
Il custode dello Stato. Andreotti rappresentò la continuità istituzionale, la conoscenza profonda dei meccanismi del potere, la prudenza come virtù politica. Più volte Presidente del Consiglio, seppe tenere insieme alleanze complesse, crisi internazionali, equilibri fragili. Dietro il suo realismo vi era l’idea che lo Stato dovesse sempre funzionare, perché il caos colpisce i più deboli.
Benigno Zaccagnini (1912–1989)
Il segretario della coscienza. Medico, partigiano, cattolico autentico, Zaccagnini guidò la DC negli anni più drammatici con uno stile sobrio e limpido. Fu l’uomo della moralità pubblica, del rifiuto del cinismo, della fedeltà ai valori anche a costo dell’impopolarità. In un tempo di violenza, testimoniò che la politica può restare umana.
Carlo Donat-Cattin (1919–1991)
Il democristiano sociale. Proveniente dal sindacato, diede voce ai lavoratori, alle periferie, al cattolicesimo popolare. Fu protagonista dello Stato sociale italiano, sostenendo i diritti del lavoro, la dignità dell’impresa responsabile, l’equilibrio tra mercato e solidarietà. In lui la DC mostrò il suo volto più vicino al popolo.
Igino Giordani (1894–1980)
Il profeta mite. Scrittore, giornalista, costituente, Giordani incarnò la DC delle origini: spirituale, colta, profondamente evangelica. Fu testimone di una politica come testimonianza cristiana, fondata sulla pace, sulla fraternità e sull’educazione civica. Meno uomo di potere, più maestro di coscienze.
Ciriaco De Mita (1928–2022)
Il riformatore inquieto. Intellettuale rigoroso, portò nella DC una forte tensione teorica e istituzionale. Critico verso l’immobilismo, cercò di rinnovare il partito e lo Stato, riflettendo sui limiti della democrazia dei partiti e sulla necessità di una nuova partecipazione. Fu spesso scomodo, ma sempre animato dall’idea che la politica dovesse pensare il futuro.
Un’eredità comune
Questi sette uomini, così diversi tra loro, condivisero una stessa convinzione:
la politica è un atto morale, prima che una tecnica di potere.
La Democrazia Cristiana, attraverso di loro, seppe unire libertà e giustizia sociale, Stato e comunità, mercato e solidarietà, incarnando la dottrina sociale della Chiesa nella storia concreta dell’Italia.
La loro lezione resta attuale: senza coscienza, la politica si svuota; senza dialogo, la democrazia muore; senza servizio, il potere si corrompe.
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Essere democristiani e cristiani in politica oggi non significa riproporre un partito del passato, ma assumere uno stile, una cultura e una responsabilità pubblica coerente con il Vangelo e con la Costituzione. È una scelta esigente, controcorrente, ma profondamente attuale.
1. Mettere la persona al centro, non l’ideologia
La tradizione democristiana nasce dalla dottrina sociale della Chiesa: la persona umana è fine, mai mezzo.
Oggi questo significa:
- rifiutare la politica dell’odio e del nemico;
- difendere la dignità di ogni vita, dal lavoro alla fragilità;
- valutare le leggi non per convenienza elettorale, ma per giustizia concreta.
👉 Come diceva Aldo Moro, la politica è “pazienza e rispetto dell’altro”.
2. Vivere la laicità positiva dello Stato
Essere cristiani in politica non vuol dire imporre la fede, ma testimoniarla:
- rispetto delle istituzioni repubblicane;
- distinzione tra Chiesa e Stato;
- ispirazione cristiana tradotta in valori civili condivisibili: solidarietà, libertà, responsabilità.
👉 De Gasperi insegnava che il credente serve lo Stato meglio quando ne rispetta l’autonomia.
3. Praticare la mediazione, non il populismo
La Democrazia Cristiana fece grande l’Italia perché seppe mediare:
- tra capitale e lavoro;
- tra libertà economica e giustizia sociale;
- tra visioni politiche diverse.
Oggi essere democristiani significa:
- rifiutare slogan e semplificazioni;
- costruire compromessi alti, non ribassi morali;
- credere nel Parlamento e nella democrazia rappresentativa.
👉 Zaccagnini ricordava che “la forza della politica è la coscienza”.
4. Difendere il lavoro e i corpi intermedi
Un cristiano-democristiano oggi sostiene:
- il lavoro dignitoso;
- le famiglie;
- il terzo settore, il volontariato, le cooperative;
- i sindacati e le autonomie locali.
È il principio di sussidiarietà: lo Stato non deve sostituirsi alla società, ma sostenerla.
👉 Donat-Cattin lo tradusse in politiche sociali concrete.
5. Unire mercato e solidarietà
Non statalismo, non liberismo selvaggio.
La tradizione democristiana parla di economia sociale di mercato:
- impresa responsabile;
- welfare giusto;
- attenzione ai più deboli;
- merito accompagnato dalla solidarietà.
👉 È una politica che governa l’economia, non la subisce.
6. Avere uno stile etico personale
Prima delle leggi viene la testimonianza:
- sobrietà;
- rifiuto del trasformismo;
- rispetto dell’avversario;
- coerenza tra vita privata e pubblica.
👉 Igino Giordani insegnava che il cristiano in politica deve “fare meno rumore e più bene”.
7. Pensare il futuro, non solo il consenso
Essere democristiani oggi significa:
- investire su scuola, giovani, cultura;
- rafforzare l’Europa;
- custodire la pace;
- governare le transizioni senza abbandonare nessuno.
👉 De Mita ricordava che senza pensiero lungo la politica diventa amministrazione senza anima.
In sintesi
Oggi essere democristiani e cristiani in politica significa:
servire senza possedere, decidere senza dividere, credere senza imporre.
Non è nostalgia.
È una scelta di responsabilità.
Considerazioni di Giorgio Cavazzoli detto PENNA BIANCA, Coordinatore nazionale ed interregionale della Comunicazione della DC.


